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[Off-Road] 60 Tornanti (By Alves)

Aperto da Webbo, Dicembre 14, 2004, 19:27:51 PM

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Webbo

Per ravvivare il forum, viste le recenti discussioni, beccatevi la mia ultima "Impresa Ecccezziunale":

60 TORNANTI

MARCELLO

Venerdì scorso mi chiamava Marcello per una uscita in moto; anche se avevo in programma solo una uscita pomeridiana, lo stoico Zorroandrea decideva lo stesso di partecipare.
Il sabato mattina invece gettava la spugna, causa pioggia: non è piacevole farsi 100 km sotto l’acqua prima di partire per un giro fuoristrada, per raggiungere Schio da Conegliano.
Ma penso che dopo aver letto quanto segue il buon Marcello benedirà quella pioggia che l’ha salvato!

L’INFAUSTA PROFEZIA

Il sabato mattina, Avendo smesso di piovere verso mezzogiorno, mi accordo con i soliti compagni di avventure Diego WR250F e Paolo K520 per trovarsi alle 13.30 al bar Al Bivio di Piovene.
Io e Paolo chiacchieriamo piacevolmente nell’attesa di Diego, quando sul mio cell. Appare un numero sconosciuto: all’altro capo c’è Diego, rimasto senza benzina a 5 km dal bar.
Vado a recuperarlo: travasiamo la benzina con un vasetto di yogurt datogli dalla parrucchiera presso cui si è fermato a telefonare; non vuole che gli dia 3 vasetti di benzina, 2 sono più che sufficienti, afferma: peccato che a 100 metri dal benzinaio finisca di nuovo il carburante e se li debba fare a spinta!
Poi il distributore non ne vuole sapere di accettare i suoi soldi, e il WRF non parte se non dopo molte pedalate (il suo è l’ultima versione senza A.E.). E qui scatta la maledizione della sfiga:”Non è giornata quando le cose cominciano ad andare storte dall’inizio…speriamo non siano cazzi amari fino a sera!” ci diciamo; la sfiga è stata invocata, e non tarderà ad abbattersi su noi miseri tapini!
Inoltre a dare una mano al destino ci metto del mio: dopo giorni di pioggia, con sole 3 ore di luce disponibili, sarebbe il caso di andare a girare in posti non troppo impegnativi, magari sulle colline del circondario; invece scelgo la direzione peggiore possibile, ossia le remote valli del Posina, chiuse da invalicabili cenge rocciose, percorse da pochi ed incerti sentieri, spesso one-way, abbandonati da decenni.

I TRE AMIGOS

Già nella salita all’altopiano di Tonezza scivolate e spinte non mancano, le mulattiere sono scavate dalle abbondanti piogge, ma le difficoltà sono ancora nella norma di un normale giro enduro. Poi nei boschi di conifere dalle radici assassine, fradici di acqua, mi rendo protagonista del primo spettacolare volo della giornata: una improvvisa pozza di fango, o forse una radice, devia la ruota anteriore verso valle e salto dentro il bosco senza un minimo di rallentamento; miracolosamente riesco a tenere la moto e rimanere in sella senza cadere.
Comunque chi soffre di più è Diego, non ancora a suo agio sulla WRF: il fantino di Pievebelcino a fine giornata avrà la testa della classifica della cadute, tutte da fermo o quasi, ma assai dolorose sui duri sassi calcarei delle Prealpi Venete.
Ma, a parte queste difficoltà, è bellissimo guidare nel bosco, fra soffice terriccio e il tappeto di foglie marce, guadare torrenti di acqua cristallina, e intorno la nebbia che sfuma le forme della natura.

CROCE DI TORARO

Raggiunta la valle dei Campiluzzi, in direzione Passo Coe, tentiamo la risalita di una mulattiera verso la cima Croce di Toraro: il sentiero sembra vergine, credo che quasi nessuno lo conosca, noi stessi abbiamo faticato un po’ a trovarlo; con lunghi traversi (i rettilinei tra 2 tornanti) sale le balze del monte, ma il fondo è bastardissimo: sassi umidi, conficcati nel terreno, inamovibili, e fra questi soffice erbetta verde e muschiosa; un cocktail di aderenza pura!!
Ma la pendenza non è elevata, a parte un paio di punti dove mi sono fermato, e con il mio XR riesco a ripartire da fermo, anche con le gomme da duro: è una anticaglia di moto, ma non cessa mai di stupirmi la sua versatilità.
Salgo ancora, e avrei continuato ma i miei pards non arrivano e allora ritorno indietro a cercarli, soffrendo di più la discesa che la salita su di un simile fondo; incredibile, ma la magnifica WRF non aveva trazione e Diego si era impiantato nel posto più brutto.
Il mio amico Andrea, K250 4T, sostiene che il WR250F ha una ciclistica assolutamente non adatta per i sentieri impestati e le trialere ma io resto convinto delle doti di arrampicatrice della yamachina 250: Diego è solo alla 3 uscita sul WR, deve ancora prenderci mano.

TRIALISTI & ENDURISTI

Ritornati sullo sterrato, incontriamo un gruppo di trialisti scledensi, appena saliti dalla val Scarabozza, uno sfasciume di ghiaia fra le rocce: non è una mulattiera, non è un sentiero , è una infima traccia indicata come difficile anche dalle guide per escursionisti, e questi l’hanno risalita in moto? La moto da trial è prodigiosa!
Questi trialisti sono simpatici, si chiacchiera da dove veniamo, dove andiamo, di percorsi, ecc.; non sono i soliti trialisti che ce l’hanno con gli enduristi che vanno forte ed arano i sentieri, mentre loro passano in punta di tassello senza rovinare la cotica erbosa!
Siamo cugini, i loro problemi sono i nostri.
Chiacchierando, ci dicono di scendere tranquillamente dal sentiero del Tovo.

TOVO

Da mesi questo sentiero era una mia ossessione; sulla cartina lo si vede valicare guglie frastagliate e boali, una spirale seghettata infilata fra le ombre grigie delle rocce; ero ossessionato dalla infinita serie di tornanti, oltre 60!! Mi ero letto tutto il possibile materiale in merito, scoprendo che era una importante collegamento viario fin dal medioevo, che era un sentiero da vacche, cioè utilizzato dai malgari per portare le bestie agli alpeggi estivi, quindi a misura di mucca, e le mucche sono più grandi di una moto! Nelle settimane precedenti ero andato a visionare la partenza in quota e l’arrivo a valle, e mi ero  convinto che si poteva farlo in moto, almeno in discesa, ma nessuno sapeva darmi conferma; o lo facevo in giù,a rischio e pericolo mio e degli sventurati al seguito, oppure lo percorrevo a piedi per valutarlo metro per metro.
Invece questi simpatici trialisti mi offrivano il Tovo su di un piatto d’argento:”Andate tranquilli, in giù si fa con l’enduro!””Ma non è tardi?” Ma no, ce la fate a scendere prima del buio”
E così, rincuorati dagli amici trialisti, alle 16.20 imboccavamo la via del non ritorno.
Un prologo fra i larici non lascia presagire il resto del percorso: usciti dal bosco, il sentiero monta su una selletta sospesa nel vuoto, a sinistra il Tovo, a destra la Scarabozza;  da entrambe nebbia sale fra le crode, nascondendo il fondovalle.
Iniziamo la discesa dell’impluvio, stretto e ripidissimo; il sentiero perde quota con regolari traversi che corrono da una parete di roccia all’altra; i tornanti sono a gomito, strettissimi: alcuni si riesce a farli da seduti, ma in molti occorre scendere ed accompagnare la moto.
Ma quello che stanca di più è il fondo, pietre grosse e mobili su cui la ruota anteriore si impunta continuamente.
Il passaggio più suggestivo è una galleria interamente scavata nella roccia, in cui le moto passano a malapena, che, perforando un crinale roccioso, ci fa abbandonare la val Stratovo ed entrare nella Val di Tovo vera e propria.
Ma se prima della galleria il percorso era stretto, adesso è strettissimo: praticamente siamo sull’orlo di un canalone ghiaioso che scende ripido a valle, senza vedere il fondo, serrato ai lati da muraglie rocciose; il sentiero taglia il vaio con traversi cortissimi e tornanti a misura di minibike.
La discesa prosegue penosa e faticosa, con le moto al fianco per lunghi tratti, stare in sella non aveva senso.
All’uscita dell’ennesimo tornante un alberello inclinato all’esterno ci costringe a pericolose manovre per far passare il manubrio dall’altra parte; in tale manovra metto le ruote troppo vicino al bordo, la ghiaia cede sotto la ruota anteriore e la mia moto cade a valle ma, essendo il pendio di sassi smossi, l’XR rimane miracolosamente in piedi mentre scivola; sulla retina si fissa la straordinaria immagine della mia moto perfettamente ritta che frana verso valle, come quelle case che restano in piedi, ma scivolano in giù assieme a tutta la frana sottostante!
La deriva della moto si conclude 3 metri sotto al sentiero, addosso ad un albero: l’Honda si appoggia al fusto perfettamente, quasi che sia stata parcheggiata lì apposta!
Grazie all’aiuto dei miei amici togliamo la moto dall’albero ed in discesa libera sulla ghiaia la traghetto fino al traverso sottostante del sentiero. 
Ma era questo il momento in cui scoppiava l’ammutinamento: Paolo dava in escandescenza, un diluvio di bestemmie usciva dalle sue labbra, quasi tutte al mio indirizzo: tra una (censura) e un (censura) me ne diceva di tutte, che lo sapeva che andava a finire così, che non doveva seguirmi giù per un sentiero sconosciuto alle 16.20, che l’estremo gli fa schifo, che non è andare in moto questo, che a trent’anni non ho capito ancora un (censura), che fidarsi dei trialisti era follia, e via così. Certamente non lo calmava il fatto che inavvertitamente gli avessi fatto cadere gli occhiali da vista fra le foglie, e Diego glieli avesse pestati su!
Però come dargli torto? Ci rimaneva solamente 20 minuti di luce, risalire era impossibile, non si vedeva la fine del sentiero, la marcia era penosissima, la fatica tanta.
Invito i miei (ex-)amici a mantenere la calma, a non farsi prendere dal panico, la fine non è lontana, possiamo farcela.
Proseguiamo la nostra discesa, la luce è sempre meno, ci tocca accendere le moto per poter utilizzare i fari; il vaio si apre, stiamo entrando nella conoide di deiezione alla sua base, la fine del sentiero non deve essere lontana, penso.
Ed infatti il sentiero finisce, nel senso che, dove doveva esserci l’ennesimo tornante, la traccia si ferma in uno sfasciume di macigni e alberi; a valle, nel buio incipiente, non si distingue altro che massi sparsi alla rinfusa e alberi divelti; del sentiero non se ne intuisce nemmeno la traccia: una slavina ha cancellato la mulattiera.
Studiamo la situazione, disperata, e non ci resta che una sola possibilità: abbandoniamo le moto e proseguiamo a piedi verso valle; sono le 17.00.

SALVEZZA

Nel volgere di un quarto d’ora, scivolando e cadendo tra i massi, raggiungiamo la strada forestale alla base del vallone; da lì altri 15 minuti fino a raggiungere l’asfalto, ma è una magra consolazione, tutte le contrade più vicine sono disabitate, il cellulare non ha campo,e continuiamo il nostro cammino verso Laghi, a circa un’ora di marcia.
Nel frattempo insisto accanitamente col cell. Per avvertire le famiglie della situazione, che non si preoccupino e allertino soccorsi vari, sai che multone ci aspetterebbe se i Forestali sapessero dove sono le nostre moto!
Dei fari appaiono all’improvviso, blocchiamo il conducente chiedendogli aiuto, un passaggio, ma questo vecchio bastardo ci dice testualmente “Niente passaggi, son quasi arrivato in sima e non torno indrio”, tira su il finestrino e se ne va; probabilmente era uno che odiava le moto, sentenzia Paolo. Poi aggiunge:”questa la devi raccontare, l’avventura di noialtri impiantati su per vaio, la nebbia che sale, il buio che scende, la frana davanti e ci mancavano solo i Kaiserjager austriaci sul culo!”
Dopo un lungo cammino ci appare la Madonna, nella sembianze di una bella ragazza che ci apre le porte del suo rustico ristrutturato e ci permette di telefonare.
Avvertiti i familiari, la nostra piacevole passeggiata notturna, con stivali da cross, protezioni, giubbotti e quant’altro, prosegue fino al paese di Laghi, dove ci accasciamo al bar sfatti da oltre un’ora e mezza di cammino.
La moglie di Paolo ci viene a recuperare, il suo commento lapidario è “Par mi, potevate anche rimanere su nel bosco assieme alle moto” mentre la piccola Paola, 3 anni, ci guarda in silenzio, sconvolta. Mia mamma invece comenterà:”che bambinoni a fare stè cose!”.


I RECUPERANTI

Il mattino dopo alle 7.30, armati di seghe e corde, siamo in loco, io, Diego, Paolo, e mio fratello, spinto più dalla curiosità di vedere dove ci eravamo cacciati che di aiutarci (scherzo, è stato semplicemente un grande a svegliarsi alle 6.30 per accompagnarci fin là!).
I miei amici, soprattutto Paolo, sono preoccupatissimi riguardo le moto, temono che qualche cacciatore o boscaiolo passante in loco le danneggi o denunci il fatto alle autorità; io francamente non sono per nulla preoccupato, chi vuoi che passi di lì, ma quando siamo arrivati alla sbarra della strada forestale e c’erano già automobili di cacciatori il vecchio Paolo è andato in paranoia.
Raggiunte le moto la situazione, alla luce del sole, è meno brutta di quel che sembrava di notte: solo un tornate è franato ed è impraticabile, il resto del sentiero è ancora integro, anche se ingombro di massi e alberi.
Passiamo le moto oltre il defunto tornante con le corde, poi iniziamo a ripulire il sentiero: 10-15 metri a disboscare e spostare massi, quindi avanti con le moto; altro cantiere da 10-15 metri e di nuovo avanti, ecc..
Un gran lavoro che non solo ha liberato le nostre moto, ma ha anche ripulito il sentiero, rendendolo nuovamente transitabile!
Alle 9.30 raggiungiamo la strada forestale; a bassa andatura scendiamo lungo la sterrata, incrociando un paio di anziani cacciatori, più sorpresi che altro di vedere all’improvviso 3 individui vestiti da montanari, in moto senza casco passare di lì.
Quando poco dopo passa  mio fratello Igor con a tracolla una sega da un metro gli fanno: “E questo dove va con la sega?” e mio fratello “a far legna!” chissà che avranno pensato!

Ciao
Alves
   


Per cortesia non contattatemi in privato (via PM o mail) per aiuto o consulenze tecniche, postate pubblicamente, e se vi posso aiutare lo farò volentieri.

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