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Slovenia Off-Road Vintage 95

Aperto da alves, Dicembre 22, 2005, 11:39:40 AM

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alves

Reinserisco il racconto del viaggio  in Slovenia, che credo sia stato perso quando ci sono stati problemi al server tempo fa.
La differenza che ora ci sono le foto del viaggio, alfine scannerizzate.
Non sono un granchè, la macchinetta era una tascabile da quattro soldi, ma
penso rendano comunque l'idea dei posti: e pensare che siamo a poche decine
di km oltre confine...

Ciao
Alves

SLOVENIA MON AMOUR

Nell'estate del 1995 compii il mio primo viaggio in moto. Assieme al mio amico RU mi recai, entrambi ventunenni motorizzati 125 cc, nella neonata repubblica Slovena. Fu una esperienza fantastica ed indimenticabile anche se durò solo lo spazio di una settimana.
Guardandola adesso mi sembra ben poca cosa sia rispetto ai miei viaggi successivi (che comunque non sono niente di eccezionale) sia rispetto alle grandi avventure che si leggono o vedono in tv: attraversamenti di deserti in solitaria, giri del mondo con la Vespa, ecc.; nella mia stessa città ci sono stati 2 ragazzi che sono andati fino a Istambul, attraverso tutti i Balcani, in Ciao! ora, ripensando al passato, ho un sacco di rimpianti: avrei dovuto fare il 1° viaggio a 18 anni, avrei dovuto star via 2 settimane, avrei dovuto arrivare fino all’Ungheria, avrei dovuto … forse invece non avevamo, io e il mio amico, l’animo pronto per osare di più.
Questa è la cronaca di quei 6 giorni.

QUELLO CHE SUCCESSE PRIMA

Dopo mesi di “corteggiamento”, ero riuscito a convincere il titubante RU a seguirmi in questa avventura slovena: tutto era nato da un breve ma invitante articolo apparso su uno “Speciale Vacanze” di Motociclismo, in cui si magnificava la natura slovena, da scoprire in moto, percorrendo sterrati immersi nelle foreste.
La nostra gita ha, fin da subito, venatura fuoristradistica: mi propongo di girare le montagne della Slovenia occidentale, il più possibile su sterrati; come guida abbiamo solo un paio di articoli di giornale, una sintetica ma interessante guida (SLOVENIA Aldo Pavan ed. CLUP), una guida per M-B una cartina della Freytag 1:200.000 di tutto il paese e una carta topografica che copre solo la valle dell’Isonzo.
I nostri ferri sono una CAGIVA TAMANACO 125 ’88 e una GILERA R1 S ’88.
La Cagiva, mia da ormai 4 anni, era ancora in ottime condizioni meccaniche, sebbene la usassi tantissimo in off-road: certo, non mulattiere alla bergamasca, ma sterrati e sentieri facili veramente tanti. Pregi: erogazione motore (26 cv) abbastanza piena per essere un 125, comoda, ben accessoriata (doppi fari potenti, grande autonomia, avviamento elettrico, miscelatore automatico), posizione di guida protettiva, telaio ottimo in asfalto e anche in fuoristrada non male. Difetti: sospensioni “legnose” per l’enduro (ma comunque sufficienti per gli sterrati), finiture scadenti ma soprattutto impossibile avanzare o arretrare la posizione di guida per via della enorme carenatura anteriore e dei bombati fianchetti posteriori.
L’R1 di RU, a mio parere uno dei modelli Gilera più belli degli anni ’80, era un po’ più usurata meccanicamente: buona potenza (25 cv), meno coppia del Cagiva, rapporti lunghi che la penalizzavano in montagna e nel fuoristrada; sospensioni migliori, soprattutto la forcella;  più snella e filante (sebbene sempre dotata di doppio faro carenato), non era però per questo più maneggevole in quanto il telaio era molto “lungo”.
Preparammo i mezzi con l’aggiunta del bauletto posteriore, Pirelli MT 21, una controllata dal meccanico: quello di RU, al sentire la meta, disse che con quella moto non sarebbe ritornato a casa!
Una parentesi merita il mio bauletto: acquistato per 50.000 £ da un “frikettone” che lo usava come legnaia per la stufa (talaltro non era neppure suo ma del fratello, comunque nessuno me l’ha più richiesto).
La nostra tenuta era molto “casual”, nel senso di causale: io durante la guida indossavo una tuta viola e gialla, ai piedi anfibi militari; anche  per RU tuta e scarponi da montagna; unica concessione per entrambi giaccone da enduro e guanti.

1° DAL PIAVE A CAPORETTO

La mattina del primo giorno partiamo subito in ritardo e ci troviamo imbottigliati nel traffico caotico delle strade della pedemontana veneta. Varcato il Piave a Ponte della Priula, il viaggio si fa più scorrevole attraverso la pianura friulana: il motore gira in sesta sottocoppia, andiamo ai 90-100 km, quasi non si sente rumore o vibrazione, sdraio la schiena sul bauletto in postura simil-custom.
Nei pressi del Tagliamento mangiamo un panino all’ombra del ponte, poi passiamo Udine (e il suo centro dove ci perdiamo!) e imbocchiamo la valle del Natisone verso il valico di Caporetto: la natura attorno si fa montana e selvaggia, quasi nessuno sulla strada e arriviamo al confine; le formalità sono veloci ma siamo lo stesso emozionati: per entrambi è la prima volta che usciamo dall’Italia da soli alla guida di un nostro mezzo. Celebriamo l’evento con una birra e la classica foto sotto il cartello “SLOVENJA”.


confine di caporetto

Scendendo verso Caporetto Kobarid facciamo il pieno e siamo piacevolmente stupiti dal costo molto inferiore a quello italiano; una volta in paese, cerchiamo un camera: è solo metà pomeriggio, avremmo potuto continuare il viaggio, ma ce la prendiamo comoda (forse troppo) e una volta sistemati andiamo a spasso per il paese.
In realtà è poco di più di una contrada all’incrocio di 2 strade e c’è ben poco da vedere, oltre all’immancabile museo della Grande Guerra, dove però non c’è una didascalia in italiano o inglese, solo sloveno! Passiamo il resto della giornata a passeggiare da uno dei 3 bar del posto all’altro, chiacchierando e preparandoci per il giorno successivo.

2° LA VALLE DELL’ISONZO E I SUOI AFFLUENTI

La nostra meta odierna è la località di Cerkno nei cui pressi vi è l’ospedale partigiano Franja, allestito a suo tempo all’interno di una impenetrabile gola naturale; ovviamente, vogliamo arrivarci dopo un lungo giro, il meno possibile su asfalto.
Lasciamo Caporetto costeggiando l’Isonzo ma dopo pochi km abbandoniamo il fondovalle per una stradina asfaltata che si inerpica sui monti circostanti. Arriviamo ad un piccolo borgo montano, Livek, a poche centinaia di mt dal confine; subito inizia la goduria: uno sterrato largo e dal fondo bianco che percorre il crinale montano tra Italia e Slovenia verso sud.


Sterrato nella valle dell’Isonzo

Facile e panoramico, attraversa boschi e piccole contrade dove i bambini corrono in strada entusiasti per guardare il nostro passaggio: scopriamo ben presto che in Slovenia le piccole contrade e borgate di montagna sono ancora collegate da strade sterrate, non come dalle nostre parti dove quasi ogni contrada è stata raggiunta dall’asfalto; tutto questo è una manna per il turista fuoristradista, basta tracciare un itinerario attraverso i monti e si è sicuri di trovare uno sterrato!
Ogni tanto incontriamo i segni residui della guerra fredda, garitte dipinte con la bandiera Jugoslava, a guardia del confine.


Garitta

Scendiamo in fondovalle qualche km a monte di Nova Gorica e risaliamo dall’altra parte verso l’Altopiano della Bainsizza, teatro di battaglie della Grande Guerra. Sinceramente mi aspettavo di più da questa zona, tutto quello che riusciamo a vedere è la foresta che circonda la stradina asfaltata che percorriamo.
Dalla Bainsizza scendiamo nei pressi di Tolmino nella valle del Fiume Idrijca, affluente dell’Isonzo; la zona è un dedalo di valli percorse dagli affluenti dell’Idrijca;
risaliamo su sterrato la valle del Trebusa, scolliniamo ma invece di scendere verso la città di Idrija attraversiamo una serie di valli parallele in direzione di Cerkno. Andiamo un po’ a naso ma si trova sempre una sterrata che ci consente di passare da una valle all’altra.
A metà pomeriggio arriviamo alla periferia di Cerkno e prendiamo alloggio alla locanda V Logu, consigliata dalla guida. Questo posto merita veramente 2 righe: sorge in punto in cui la valle è così stretta che ci sta solamente il torrente, la strada e la locanda; ai lati i ripidi pendii dei monti.
L’edificio è interamente in legno, anche tutti gli interni, col tetto marcatamente spiovente: i gestori vivono lì ed infatti il bagno degli ospiti è lo stesso dei padroni.
Degna di nota è anche la giovanissima cameriera che però non sembra un granchè colpita da noi rudi motociclisti! Prendiamo possesso dei nostri “appartamenti”: un camerone mansardato altissimo, con un armadione, un cassettone e un lettone matrimoniale, ahimè, da dividere con RU; tutto ovviamente in legno!
Liberateci dei bagagli, facciamo appena in tempo ad  andare a visitare l’ospedale partigiano Franja: è una bella camminata all’interno di questa forra dove si rifugiavano i partigiani comunisti; tutto è ben tenuto e illustrato, si capisce chiaramente che la vecchia Jugoslavia di Tito ci teneva parecchio a questi “templi” laici, simboli della nuova nazione comunista nata dalla resistenza.
Il paesetto di Cerkno non ha alcuna attrattiva per cui ritorniamo alla locanda, aspettando la cena bevendo birra sul tavolo all’aperto e giocando a freccette, unica attrattiva ludica del locale: come avrete capito in questo giro ce la siamo presi comoda, senza tappe massacranti!
La cena, poi, è una di quelle da ricordare: non riuscendo a intenderci bene con la lingua, abbiamo ordinato come secondo “pork”, aspettandoci una bistecchetta o braciolina; invece la cuoca ci porta su un vassoio un enorme stinco con piantato sopra il coltellaccio di Jack lo Squartatore per dissosarlo!
Dopo questa cena pantagruelica e le molte birre di prendere la moto non se ne parla e anche giocare alle freccette è rischioso, potremmo infilzare come un pollo gli altri avventori indi per cui ci ritiriamo nella nostra suite.   

3° LA PRIMORSKA: SELVE ED ALTIPIANI

Lasciata l’accogliente ospitalità della locanda, ritorniamo sui nostri passi per la valle del Trebusa ma in direzione opposta verso la selva di Tarnova; questa zona, come altre che troveremo più avanti, è molto estesa e praticamente disabitata; vi è solo qualche rifugio per escursionisti e una ragnatela di strade bianche forestali che si addentrano nel fitto del bosco.


RU nella Selva di Tarnova



Alves nella Selva di Tarnova

l’orientamento è un problema non da poco, la foresta è sempre uguale, spessissimo i bivi non hanno alcun segnale  e in questo altipiano non si trovano punti elevati che permettano l’osservazione dei luoghi vicini per capire dove si è! Fortunatamente il Cagiva, con i suoi 13 litri mi garantisce una grande autonomia: sarebbe il paradiso avventurarsi in queste foreste, al di fuori degli sterrati, con enduro specialistiche o trial, ma il rischio di trovarsi a secco in mezzo a boschi sconosciuti è ben reale!
Finalmente arriviamo ad un punto attrezzato a pic-nic che riconosco in foto sulla guida: da lì scendiamo nell’ampia valle della Vipava, via maestra tra Gorizia e Postumia. La valle separa il Carso sloveno dal complesso della Selva di Tarnova e del Monte Nanos, nostra prossima meta. Viaggiamo costantemente in piega per colpa di un forte vento che deve essere usuale da queste parti, infatti i pioppeti a lato della strada sono tutti inclinati nella direzione del vento.


Valle della Vipava-vento

All’altopiano del Nanos si ascende per una strada molto panoramica e suggestiva però, a differenza delle lisce sterrate incontrate in precedenza, il fondo è molto accidentato e la guida stimolante ma impegnativa. Superato il ciglio dell’altipiano ci si presenta davanti un grandioso acrocoro dalla forma allungata ( ma forse “busa” rende meglio l’idea!), in parte a pascolo parte a boschi di pini e mughi; è un paesaggio simile alle zone alte dell’Altipiano di Asiago.
Sulla cima più alta, comunemente chiamato “naso” per la sua caratteristica forma, il monte Plesa 1261 mt., è collocata una stazione radio televisiva che con la sua imponete antenna, costituisce un centro fondamentale per le telecomunicazioni della Slovenia.  Viene perciò chiamata “l’occhio sloveno sul mondo”.
Una strada conduce alla sommità e da lì, costeggiando i prati lungo il ciglio a precipizio dell’altipiano si arriva alla chiesetta di San Ieronimus del 1600, a 1019 mt; nei secoli scorsi, alla notte,vi veniva accesa una luce che era visibile dal golfo di Trieste e fungeva da punto di riferimento per le navi ed erano gli stessi marinai di Trieste che rifornivano a rifornire l’olio.


Monte Nanos

Noi preferiamo non rischiare di precipitare di sotto e continuiamo per la strada principale che aggira tutto il “catino”; passiamo per il rifugio “Abram”, poi iniziamo la discesa dell’altipiano dall’altro versante, più dolce ed ondulato. Andando sempre un po’ a fortuna arriviamo allo splendido castello di Predjama, soggetto di quasi tutte le cartoline slovene.
Alla base di una altissima parete rocciosa si apre un enorme covolo in cui è stato inserito un castello medioevale, inespugnabile; dal castello si passa direttamente all’interno del covolo (già utilizzato come ricovero e postazione militare dall’antichità) mentre cunicoli e gallerie lo mettessero in comunicazione direttamente con la valle dall’altra parte della montagna!


Il castello di Predjama dall’interno del  covolo

Siamo ad un tiro di schioppo da Postumia, dove ci fermiamo per la notte; prendiamo alloggio in una fattoria lì vicino, da un vecchio burbero con un occhio solo:  un netto peggioramento rispetto al giorno prima!
La serata la passiamo nei pub e sulla piazza di Postumia, divertendoci a vedere i giovani tamarri locali fare sgommate e sgasate con le Zastava (FIAT) 128  assettate da rally.

4° LA CARNIOLA INTERNA: LAGHI FANTASMA E LABIRINTI

La prima meta di oggi è Rakov Skocjan ( Rio dei Gamberi) un parco naturale dove, ovviamente , è il carsismo a essere protagonista: tutta la regione è piena di fiumi che sprofondano nella terra, sotterranei, gallerie, inghiottitoi. In questo caso è il torrente Rak che esce all’aperto in corrispondenza di alcune enormi doline di crollo e forma 2 ponti naturali, il Piccolo e il Grande. Una stradina sterrata attraversa il parco e comodamente ammiriamo queste meraviglie della natura.
Usciti dal parco siamo praticamente già arrivati alla tappa successiva, il lago di Cerknica (lago Circonio): questo è uno dei luoghi più incredibili che abbia mai visto in vita mia!
Da una piccola elevazione sui cui sorge la chiesa bianchissima di Zelse possiamo osservare tutta l’area: un pianoro molto esteso (24 kmq) circondato da monti su tutti i lati.


Chiesa di Zelse

Questo fenomeno carsico si chiama polje: è un lago temporaneo; nella stagione delle piogge il lago si riempie velocemente ed occupa l’intero pianoro, tanto che gli abitanti dei paesi vicini usano le barche per andarci a pesca! C’è pure un villaggio che diventa una isola collegata alla riva con 2 ponticelli.
Poi lentamente l’acqua defluisce da inghiottitoi sotterranei lasciando il posto a una distesa di campi coltivati.
Noi siamo arrivati in un momento in cui il lago ha quasi ultimato lo svuotamento: ci sono ancora dei canali melmosi che si perdono verso l’interno della piana, tutto attorno verdissimi prati lussureggianti.


Il fondo del lago Cerkno prosciugato


Canali paludosi

Imbocchiamo la stradina sterrata che costeggia il lago, deviamo sul fondo asciutto fino ai margini fangosi di un canale: la tentazione sarebbe lanciarsi a tutta manetta dentro una distesa così, ma chissà quali sorprese nasconde il lago. Proseguiamo il periplo del lago passando per il villaggio di Otok, quello sull’isola: le case – fattorie hanno i tetti spioventi, sembra ieri che hanno tolto la paglia per sostituirla con il più “moderno” legno.
Dalla zona di Cerknica proseguiamo in direzione sud-est, verso la Croazia: prossima meta il castello di Sneznik. La strada semideserta percorre un’ampia valle con piccoli gruppi di sparse case contadine: non vedono molti forestieri da queste parti.
Superiamo un motociclista locale in panne e torniamo indietro per aiutarlo: è un ragazzo più o meno della nostra età, alla guida dell’immancabile motorino “Tomos”, praticamente l’unico mezzo a 2 ruote che abbiamo visto in questo nostro viaggio nella Slovenia “profonda”. La Tomos è una fabbrica ex-Jugoslava di Capodistria ed è in pole position per il premio di “motociclo più brutto di sempre”.
Questi Tomos assomigliano un po’ ai vecchi Testi e Benelli economici degli anni ‘70: telaio a monotrave discendente con serbatoio a botticella fissato sopra, motore tondeggiante però con raffreddamento ad aria forzata, marce al manubrio ma soprattutto un orribile colore grigio topo morto ad abbellire il tutto.
Il “motard” sloveno ci spiega a gesti che ha rotto qualcosa nel comando dell’acceleratore lato carburatore ed avrebbe bisogno di un cacciavite per controllare; comincio a trafficare nella borsa dei ferri ed estraggo un utensile multifunzione: per prime escono le chiavi a brugola e Tomos si agita: non sono queste che mi servono, cerca di dirci! Con la mano e lo sguardo gli dico: aspetta e vedrai! Ed infatti compare l’agognato cacciavite sotto lo sguardo stupito dello sloveno mentre RU esclama: TECNOLOGIA OCCIDENTALOSKI!! E scoppiamo a ridere a crepapelle mentre l’altro ci guarda come fossimo scemi! Anche se stupido, ancora adesso quando penso a questo siparietto non riesco a trattenermi dal ridere!
Rabberciato alla bellemeglio il cavo del gas, lasciamo Tomos al suo destino e raggiungiamo il cinquecentesco castello di Sneznik: il maniero sorge all’interno di un parco lussureggiante e verdissimo, la luce del sole fa risplendere le sue mura bianchissime; un fossato con tanto di ponte levatoio lo circonda completamente.
Al suo interno sono conservati ancora gli arredi originali dell’epoca e nel parco vi è un museo del ghiro !?! ma è tutto chiuso (non succede solo in Italia): montiamo in moto e affrontiamo il Monte Nevoso (Sneznik).


Castello di Sneznik

Questo massiccio a ridosso del confine croato raggiunge, con pendenze abbastanza dolci, i 1796 m.s.l.; ha una forma grossomodo circolare di circa 20 km di diametro.
Non vi sono centri abitati ma una ragnatela di strade bianche ne percorrono le selvagge e fitte foreste, dimora di orsi, lupi, linci, cinghiali e cervi.
Ci buttiamo dentro senza indugio, con l’obiettivo di arrivare il più in alto possibile, magari fino alla riserva botanica nei pressi della vetta o a qualcuno dei rifugi della zona, o arrivare al “pekel” (inferno) profonda depressione carsica dove si possono osservare, se fortunati, i cervi.
Stavolta la natura ha il sopravvento sull’uomo: percorriamo decine di km su sterrati larghi  e ben tenuti, ma non arriviamo da nessuna parte. Continuamente ci si presentano bivi, trivi e quadrivi non individuabili sulla nostra cartina approssimativa, con tutte le direzioni battute in egual modo; se imbocchiamo una strada in salita dopo un po’ ricomincia a scendere; indicazioni non ce ne sono. Come non bastasse l’R1 è a corto di benzina (che vi dicevo? Non sono i posti più adatti per moto che bevono come “gorne”) ed ha una gomma giù, forse pizzicata. A malincuore cerco una strada che ci riporti nella civiltà e raggiungiamo Ilirska Bistrica (Villa del Nevoso), sulla importante rotabile che collega Postumia a Fiume.


Sulle sterrate del Monte Nevoso


Sulle sterrate del Monte Nevoso

Riforniti, rifocillati, gonfiata la gomma dell’R1 (per fortuna era solo una anomala perdita di pressione) decidiamo sul da farsi: nel nostro programma di viaggio abbiamo da visitare come prioritaria la regione del Kocevsko, nella bassa Carniola.
Con la traversata del Nevoso ci siamo allontanati dalla meta, tosto ripartiamo verso Postumia ma a Pivka abbandoniamo l’asfalto in direzione est attraverso i monti Javorniki: veloci sterrati nella foresta ci riportano al lago di Cerknica.
Due alternative ci si presentano per raggiungere Kocevje, capoluogo del Kocevsko: attraversare i selvaggi e disabitati monti Velika Gora e Goteniska Gora oppure, allungando di molto, costeggiare il confine croato lungo la valle del fiume Kulpa per poi immettersi sulla rotabile Fiume - Kocevje e risalire fino a quest’ultima.
La nostra guida recita testualmente riguardo alla seconda ipotesi:
“è un percorso che devono assolutamente fare coloro che amano tuffarsi tra boschi e monti impervi. Seguendo la valle del Kolpa si viaggia su tratti di strada stretta e sterrata che conduco alternativamente sulla sponda slovena e su quella croata. I paesi sembrano dimenticati dalla civiltà. Tappa d’obbliggo è Osilnica…un lembo di mondo dove non è da tutti arrivare.”
Non c’è dubbio: questa è la strada che fa per noi!! E imbocchiamo decisi la strada verso il confine croato.
Lungo la strada che conduce al posto di frontiera di Babno Polje non incrociamo praticamente nessuno, non è certo un valico dei più trafficati; i doganieri croati sono molto marziali, si danno aria d’importanza, ci chiedono con sguardo serio dove andiamo: mi sembra sconveniente dire che stiamo andando a zonzo per i monti, chissà cosa potrebbero pensare questi militari! Rispondo “Osilnica, Osilnica, fattoria Kovac” una locanda nella sperduta Osilnica dove si può praticare rafting, canoa, trekking, ecc..  La risposta li soddisfa e ci lasciano ripartire senza tanti commenti.
La strada si insinua per anguste valli, verdissime e selvagge: i centri che attraversiamo sono semplicemente 3-4 case sperdute in queste lande. A Cabar un ponte sulla Kolpa ci riporta in Slovenia: la dogana è costituita da un container parcheggiato a lato della strada, con all’interno un solitario doganiere, probabilmente la persona con il lavoro più tranquillo del mondo, visto il traffico in quella zona. Il nostro passaggio è un evento, non c'è traccia della alterigia dei sui colleghi di Babno Polje, è visibilmente felice di parlarci e ci lascia scattare una foto ricordo con moto, ponte, cartello “REPUBLIKA HRVATSKA”, dogana-container.


La dogana container a Cabar

Ad Osilnica ci fermiamo da Kovac a cercare sistemazione: ci sono alcuni turisti tedeschi bardati di tutto punto per il rafting, anche i prezzi sono adeguati agli standard teutonici, per cui riprendiamo la strada lungo il fiume. Ci attende una piccola sorpresa: sebbene la nostra guida fosse solo dell’anno prima, non segnalava la recentissima costruzione di della nuova strada sul lato sloveno della valle: quindi ai croati la vecchia sterrata, agli sloveni il nuovo nastro d’asfalto. Questa stradina è una vera palla, larga 2 metri, contorta e piena di dossi, la velocità è ridottissima, max 30-40 km/h, si passa solo per qualche isolata fattoria.
Un malandato ponte riporterebbe in Croazia, ma in assenza di un posto di dogana non ce la sentiamo di sconfinare per cui rinunciamo allo sterrato e rimaniamo sul lato sloveno.
Arriviamo a Brod Na Kupi, proprio di fronte alla dogana, e da lì giriamo verso nord, verso Kocevje.
Lungo la strada ammiriamo i resti del castello di Kostel, del 1200, appollaiati su uno scosceso sperone roccioso.
Dopo oltre 250 km di smotazzamento a cavallo di due stati arriviamo a Kocevje e finalmente posiamo le nostre chiappe spaccate sui morbidi letti di un alberghetto.
Kocevje  è una città antica ma del suo passato non resta nulla: sinceramente non ha proprio nulla di attraente per il turista, tranne il fatto di essere al centro di un’area naturalistica eccezionale per vastità e integrità.
La serata trascorre tra un salto in una pizzeria all’aperto con vista su un mastodontico camion sovietico semi abbandonato nel piazzale e camminate su e giù per la via principale del paese dove però non c’è un ca**o, nemmeno gli zarri con le 128 tarroccate!

5°  BAZA 20 FANTASMA

Facciamo colazione accompagnati da un sottofondo di musica slovena sparata a palla dalle casse del bar con evidente apprezzamento del barista: rintronati saliamo in sella verso il Kocevski Rog, altopiano ondulato sui 1.000 mt a est di Kocevje, ricoperto di foreste di abeti e querce: qui trovavano rifugio i partigiani sloveni durante la 2° guerra mondiale. Uno di questi campi, il Baza 20, esiste ancora ed è visitabile, è pure segnato sulla cartina.
Ci inoltriamo nella foresta ma presto si ripropone la stessa situazione del Monte Nevoso: ogni tanto troviamo la freccette in legno che indicano il Baza 20, poi si trovano bivi e trivi assolutamente uguali senza alcuna indicazione; facciamo decine di km immersi in questa splendida foresta, su sterrati che invitano a spalancare del tutto l’acceleratore: ma per andare dove?


Nei boschi del Kocevsko


Radura nei boschi del Kocevsko


Si cerca la direzione anche così…

La benzina dell’R1 scende inesorabilmente per cui decidiamo a malincuore di tornare sui nostri passi: quella mattina abbiamo percorso oltre 100 km all’interno della foresta senza riuscire a raggiungere il famigerato Campo Baza 20!
A Kocevje facciamo rifornimento e RU incassa gli apprezzamenti per la Moto GILERA da un vecchietto: non è stata l’unica volta, mentre la mia CAGIVA non la caga nessuno! La GILERA di ARCORE aveva chiuso da un paio d’anni e da allora solo qualche scooter Piaggio marchiato Gilera: che tristezza per un marchio così famoso, carico di storia e di moto molto belle (vi ricordate le fantastiche RC600R della Parigi-Dakar?)
Ripartiamo in direzione Postumia e stavolta affrontiamo la traversata   dei selvaggi e disabitati monti Velika Gora e Goteniska Gora, tralasciati il giorno prima per la Valle della Kolpa.
Queste aree montane erano bandite ai civili durante l’era di Tito; vi si trovavano i campi e le basi di addestramento della milizia territoriale jugoslava; addirittura la popolazione di  un intero paese, Kocevska Reka, e altri villaggi, era stata allontanata per 50 anni dalla sua terra: ora sono tornati e anche il turismo rinasce.
Attraversiamo il villaggio di Kocevska Reka, nulla lascia supporre il passato, è tutto così bucolico.
Per strade pessimamente asfaltate e lunghi sterrati attraversiamo la zona, arriviamo di nuovo al Lago di Cerknica, ripassiamo per il Rio dei Gamberi per concludere la cavalcata giornaliera a Postumia all’alloggio del vecchio burbero di 2 giorni prima, che non dimostra il minimo entusiasmo nel rivederci.
La sera facciamo uno strappo al rigido regime alimentare a base di panini a pranzo e cevapcici alla sera e ci concediamo una cena con i controfiocchi con tutte le specialità slovene.
L’itinerario che avevo programmato di fare in 7 giorni è stato fatto in toto, la nulla esperienza di viaggio mi aveva portato a sovrastimare il tempo necessario; altre mete non mancherebbero: c’è il massiccio del Triglav (Tricorno) con i vicini laghi di Bled e Bohinj, oppure i monti della Stiria slovena, tra Lubiana, Celije e Maribor, percorsi sulla carta da molte strade bianche; anche una corsa verso la pianura pannonica, per poter dire di essere giunti ai confini dell’Ungheria mi intrigherebbe!
Questi progetti richiederebbero però almeno altri 2-3 giorni, RU comincia a dire che dobbiamo tornare, che aveva detto a casa che stava via solo 2-3 giorni ?!? ecc.; propongo di andare verso la costa relativamente vicina, nell’Istria slovena, e passare una giornata di relax al mare, ma non c’è verso: l’indomani ripartiamo per casa, madri, morose, nonne ci aspettano con ansia.


Paesaggio Sloveno

6° GILERASKA KAPUT

Da Postumia di nuovo lungo la valle della Vipava; a Nova Gorica facciamo l’ultimo pieno scontato e siamo di nuovo in Italia.
A Udine ci riperdiamo, attraversiamo la pianura friulana senza ulteriori intoppi; a Nervesa della Battaglia intermezzo storico culturale: saliamo sul Montello per visitare il Mausoleo ai caduti e il monumento funebre all’asso dell’aviazione italiana, Francesco Baracca.
Lasciamo le dolci ondulazioni del Montello verso Schio: all’altezza di Bassano del Grappa l’R1 di RU comincia a fare brutti rumori dal motore, anche se le prestazioni del motore non sembrano risentirne e arriviamo a casa senza problemi. Ma il giorno seguente si compirà la profezia del meccanico: dopo rapido check-up dallo stesso, la sentenza sarà inappellabile, sbiellamento in atto!!
Forse avrebbe potuto farne altri 500 di km, forse ne avrebbe fatti solamente 5; a posteriori RU ha avuto inconsapevolmente ragione a voler tornare: come recuperare una moto sbiellata ai confini dell’Ungheria?
Grazie a un 160 Polini la GILERA tornerà a nuova vita, ma non affronterà mai più viaggi di questo impegno. Quanto alla mia CAGIVA, 2 mesi dopo passerà definitivamente nelle mani del mio fratellino fresco fresco di patente, affiancata in garage da un superbo XR600R ’89 che mi porterà dalle Alpi al Deserto e tanto mi farà gioire e soffrire.
Il bilancio del viaggio sloveno segna 1200 km di cui sicuri 400 su sterrato, 6 giorni in sella, circa 450.000 £ spese: una spesa ridicola in paragone alle sensazioni ricavate in questo breve viaggio.
Con la Slovenia avevo però un conto ancora aperto: tanto c’era ancora da vedere e 2 anni dopo ci ritornai.
Ma questa è un’altra storia.

Alves



MartY

Per mezz'ora ho vissuto in una favola!
GRAZIE!!!

Complimenti, davvero!
MY

HELLAS