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Agosto in moto (By ALVES)

Aperto da Webbo, Dicembre 14, 2004, 19:35:58 PM

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Webbo

Vi racconto il bel giro in moto di ferragosto
Ciao
Alves

PRIMA CIRCUMNAVIGAZIONE ENDURISTICA
DEL GRUPPO DEL CAREGA  15/08/03

Gruppo del Carega, 2259 m.s.l. : acrocoro montano, selva di cime e picchi, di boali e vaj, genesi di 4 valli, Agno, Illasi, Ronchi, Vallarsa; da sempre confine fra Venezia e Trento, fra Italia e Impero Asburgico, ora solo paradiso per amanti della montagna. I paesi e borghi ai suoi piedi distano tra loro pochissimi chilometri in linea d’aria, ma in realtà le distanze sul terreno sono assai più considerevoli per l’asprezza dei luoghi.
Da anni sognavo di compiere in moto, ovviamente il più possibile in off-road, il periplo completo di questo massiccio, attraverso valli e altipiani: un gigantesco giro in senso orario da Schio verso Verona, per le Prealpi Venete e l’Altopiano della Lessinia e poi a nord, in Trentino, Ala, il Passo Buole, la Vallarsa e ritorno lungo la Valleogra fino a Schio.
Finalmente, nel Ferragosto 2003 sono riuscito a realizzare questo “incredible tour”. Tanti giri esplorativi mi hanno permesso di creare il percorso pezzo dopo pezzo ma fondamentali ed insostituibili sono state le indicazioni raccolte sul Web, in particolare da WalterVR e SandroMN, che ringrazio.

Il giorno di Ferragosto è probabilmente il peggiore dell’anno per organizzare una uscita enduristica, soprattutto in zone trafficate e turistiche come quelle che mi proponevo di attraversare ma, fatalità, ero in ferie mentre la mia compagna in servizio, per cui libero come un fringuello: il problema era trovare qualche disperato che mi accompagnasse, per fortuna Andrea K, libero come solo un single può esserlo, accettava entusiasta l’invito, raccattando pure un terzo endurista a me sconosciuto: ironia della sorte ha voluto che nessuno dei compagni di avventure che negli anni scorsi mi hanno pazientemente accompagnato e sopportato nelle numerose uscite esplorative (alcune veramente disastrose!!) potessero partecipare.
Questa uscita è corsa via liscia come l'olio, nessun guasto meccanico, nessun rompiscatole ad intralciare il nostro cammino, solo qualche errore di navigazione e percorso non praticabile che però non hanno fermato od alterato la nostra "Lunga Marcia": spero di non annoiarvi con quello che si riduce ad essere una mera tabella di marcia, si sa, le storie sono avvincenti quanto succede qualcosa di imprevisto!

PRELUDIO

Per non fare il solito pigrone che fissa il ritrovo dove è comodo solo lui, decido di partire dal campo di Motocross “I Girasoli” a Montecchio Maggiore, a 25 km da casa mia, credendo di fare cosa gradita ad Andrea; il quale però si farà pure lui un antipasto di 20 km cercando un distributore con l’omino in carne ed ossa, i canonici 5 € rischiano di traboccare dal serbatoio del KTM 250 4T, di soli 7 litri di capacità.
Per raggiungere “I Girasoli” devo passare dalla Valleogra alla Val d’Agno attraverso il valico di Priabona. Ovviamente nella salita al passo (beh, chiamarlo passo è un po’ una esagerazione, sono solo 253 asfittici m.s.l.!), ci infilo dentro un po’ di fuoristrada nel sottobosco, come riscaldamento, è dalla gara del 20 luglio che non mi pericolavo nel fuoristrada! Il temporale del giorno prima ha umidificato per bene il terreno, dietro monto un osceno Vee Rubber da cross, l'aderenza? e chi la conosce! Meglio andare cauti.
Da Priabona scendo velocemente verso Montecchio Maggiore lungo la statale, tranne nel tratto finale dove monto sull'argine del torrente Guà, fino a alla pista di cross.
Dopo 2 minuti arriva anche Andrea, paccato dall'altro endurista: sarà una romantica cavalcata a 2, allora!Andrea è in crisi di astinenza per insufficiente "benzina" in vena, cioè nel serbatoio. Io ho solo bigliettoni da 20, il rifornimento rischia di diventare un grosso problema!
Intanto ammiriamo l'impianto, teatro anni fa del mio unico exploit crossistico: una esperienza di cui ricordo ancora il mal di stomaco che mi prese, per via dei continui saliscendi del tracciato, e la fatica di girare, piegare, frenare continuamente 140 kg di XR600!
A fianco del percorso vero e proprio hanno tracciato un piccolo pistino senza salti eccessivi ed altre amenità del cross; penso "che bello un pistino così per allenarsi" poi vedo il cartello –pista riservata al minicross- ahi! ahi!  Crossisticamente sono al livello del minicross!!

GO!

Per l'argine risaliamo fino ad Arzignano, perdiamo tempo dal giornalaio che, in carenza di liquidità, si rifiuta di spezzarmi il ventone; allora Andrea sacrifica il suo unico biglietto da 5, spartendo quei 5 litri fra i 2 serbatoi, si riparte entrambi col pieno.
Finalmente inizia il giro, affrontando le prime stradine fra i campi alle pendici del monte Calvarina.
Guadagniamo quota per una carrareccia che risale un vallone ombroso, le altre volte era sempre umido e fangato per bene, ma la siccità ha lasciato il segno anche qui, la terra rossa è secca e dura come la pelle di un caimano. Non c'è nemmeno il recente umido della Valleogra, mi sa che qui non è caduta nemmeno una goccia.
In prossimità della vetta, 683 m.s.l., non raggiungiamo l'ex-base militare posta sulla cima ma proseguiamo lungo le carrarecce e i sentieri che seguono il crinale valle del Chiampo – valle dell'Alpone, verso monte, verso Bolca (VR).
Il primo tratto è molto scorrevole e largo, si corre veloci inseguendo la traiettoria migliore, derapando in frenata nelle ripide discese. Il primo ostacolo del giorno è la salita di un cocuzzolo con una rampa molto ripida, ciottolosa mista terra, con un paio di chicane giusto per perdere velocità e aderenza.
Col bagnato è veramente difficile non scivolare sulle pietre, e poi si sputa l'anima a forza di spingere; anche Andrea è preoccupato di non farcela, ma anche qui la siccità ci da una mano, su un tale secco anche una slick da MotoGP farebbe presa, e al primo tentativo siamo in vetta: non manco di esibirmi in numeri circensi, nel punto più ripido scivolo all'indietro sulla sella e solo il borsello porta-attrezzi impedisce al mio culo di proseguire oltre il fanale posteriore e finire a terra; appeso al manubrio come uno scimpanzé, con le gambe piroettanti in aria, raggiungo la cima.
Siamo ripagati da un veduta a volo d'uccello di Chiampo e la sua valle, sullo sfondo emerge netto il profilo delle Piccole Dolomiti; ovunque si vedono paesetti, frazioni, contrade, case isolate: penso all'inurbamento di questi luoghi in confronto delle terre desolate viste la settimana prima in Gargano, tanti pensieri girano dentro la zucca.
Da lì inizia un tratto esaltante, un toboga in discesa fra sassi, alberi, radici, intervallati da allunghi a ridosso di prati, dossi da saltare, tratti in trincea, strette salite tagliate sul fianco della collina.
I rovi invadono i sentieri, graffi e strisciate sono mese in conto, addirittura mi devo fermare per togliere uno spino che mi si è conficcato giusto su un polpastrello, trapassando il guanto: piccola puntura ma grande dolore, c@@@o!
Per sbaglio finiamo dentro un frutteto con tanto di annesso frutticoltore, lesti scappiamo via per evitare un frutto sul grugno!
Entriamo nei residui boschi sulla sommità delle colline, percorsi da una veloce sentiero in terra: anche qui di solito è sempre umido, l'ultima volta che ci sono passato, in inverno, c'era un fangone assurdo, la palta arrivava fino ai mozzi e le pozze d'acqua marrone occupavano vasti tratti del sentiero; ora invece è secco, Andrea si mangia tutta la polvere che sollevo.
Transitiamo per una divertente pistina da cross, ma fa già troppo caldo per sprecare energie sui suoi salti e paraboliche, tiriamo dritto.

MERVEILLEUSE BOLCA

Bolca è un paesetto della montagna veronese, abbastanza famoso per i fossili della preistoria che copiosi si trovano ancor oggi nella "Pesciaia di Bolca" una cava della zona; c'è pure un museo in paese.
Ma per me invece è soprattutto una mecca dell'enduro, bellissimi percorsi fra boschi e vallate, relativamente poco frequentati, d'altra parte queste zone sono veramente poco popolate e siamo a decine di km da grossi paesi e città.
Veloci carrarecce dal fondo selciato si alternano a sentieri di pietrisco e terriccio immersi nel bosco, è un continuo dentro-fuori il bosco, quando si esce su asfalto subito ci si rituffa nella selva.
Pit stop nel borgo per rifornirci di benza, fortunosamente il benzinaio è aperto e c'è la donnina che ci da il  resto, faccio scorta di banconote da 5.
500 metri per uscire dal paese e siamo di nuovo in ballo, lungo una traccia larga un metro che segue sinuosa l'andamento della valle, all'ombra di un bosco maestoso.
All'uscita di una curva ci si para davanti un tronco a terra: riesco a portare di là l'anteriore, ma ho bisogno dell'aiuto di Andrea per buttare di peso la moto dall'altra parte, in un eccesso di ghiandole sudorifere sottosforzo; il Kappista invece si concentra, parte deciso, impenna sotto al tronco, porta oltre l'avantreno e appoggia la ruota posteriore sull'albero, accelera deciso e mi pialla via meta sezione del tronco: cazzarola che manico!
Ci sarebbero ennesimi giri da fare in zona, ma la Lessinia ci chiama: attraverso prati e pascoli scendiamo a Vestenavecchia, da lì saliamo a Castelvero per un breve tratto di asfalto con dei tornanti che farebbero la gioia dei motardisti. Altri sentieri immersi nella macchia e stradine bianche ci fanno raggiungere il valico di "La Collina" importante crocevia sopra Badia Calavena.
Qui faccio il primo errore del giorno: sono le 11.30 e non siamo ancora in Lessinia, dovremmo senza indugio scendere nella Val d'Illasi e risalire il ciglio orientale dell'Altopiano ma non resisto alla tentazione di fare "l'Anello delle Dorsali", nonostante ci voglia almeno un'ora per farlo, e guido Andrea in questo per lui nuovo tragitto.

VOLARE

Lasciamo "La Collina" per un veloce sentiero in salita, direzione a valle, verso la pianura. Corriamo veloci, aerei, sospesi sul crinale collinare tra la valle dell'Alpone e la valle del Tramigna; ci sono strette tracce nel bosco avvolte dalla vegetazione, veri tunnel verdi, che improvvisamente sbucano in dolci prati battuti dal vento sul dorso di anonime colline; oltre il prato si rientra nel bosco, strette gimkane tra gli alberi; non mancano salite e discese impervie, tornanti dove derapare la moto, velocissime sterrate di ghiaia bianca, tratti guidati fra i coltivi, bordati da robuste masiere di pietra, sentieri di ghiaia grossa, sentieri di terriccio fine, sponde dove appoggiare le ruote, canalette che vogliono trascinarti a terra, dossi che invitano a sollevarti dal suolo.
I luoghi che attraversiamo hanno nomi sconosciuti, solo i locali li conoscono, sono sicuro che anche a solo 10 km di distanza quasi nessuno saprebbe indicare il nome di quelle basse colline che intravede all'orizzonte.
Il nostro sguardo salta da un crinale all'altro, valli, lunghe montagnole gobbose che parallele si incontrano nell'infinito mare della pianura veneta, laggiù in fondo; alle nostre spalle le Prealpi Vicentine e le Piccole Dolomiti, di fronte altre colline che nascondono, ancora distante, la città di Verona; I profili di questi declivi si confondono fra loro, quante piccole valli e vaj sono celate fra esse? Limpide, a nord-est, i tondeggianti panettoni pascolivi che formano l'altipiano della Lessinia.   
Incontriamo i segni della civiltà rurale, devoti capitelli, croci cristiane con sopra scaramantici simboli pagani, simbolo di un lavoro d'altri tempi, roncole, falci, martelli;
l'odore di pantagrueliche grigliate ferragostane solletica le nostre narici anche al di sotto del casco, gli stomaci si contorcono, richiedendo "pastura"; passiamo i capanni dei cacciatori, in attesa della prossima caccia; tanti, troppi ripetitori radio ed elettrodotti segnano il paesaggio, sacrificio alla tecnologia e progresso, ma almeno ci fanno da boa, da "paline", guidiamo con lo sguardo lontano. La velocissima pista entra all'improvviso in un boschetto, si restringe e si impenna seguendo il profilo della collina, c'è un ramo sporgente sospeso a mezz'aria giusto nella nostra traiettoria, lo sfioro con i paramani e proseguo; Andrea tarda, quando sto per tornare indietro appare, ha toccato il grosso ramo, sbilanciandosi, sbandando e sbattendo sulle piante dall'altro lato del sentiero, senza alcune conseguenza per fortuna.
Caliamo su Cazzano di Tramigna attraverso scorciatoie fra gli ulivi, scendiamo piano, rispettosi di queste piante straordinarie.
Dal fondovalle saliamo per una strada asfaltata tornantosa, ma assai traditrice per via di un infido breciolino, fino al Castello di Illasi, un enorme torrione dirutto in mezzo a filari di viti: stiamo tornando indietro, ora siamo sul crinale tra la val Tramigna e la val d'Illasi. Scaliamo le colline lungo carrarecce assolate, vitigni e ulivi ci circondano, poi compaiono bellissime pinete di pini marittimi, siamo a VR oppure al mare?
Altri prati, altri luoghi, altre languide colline da ricordare.
Si attraversa una corte e, dopo questa orgia di dolcezza, il monte improvvisamente precipita nel fondovalle, il sentiero è una labile traccia larga poche decine di cm sull'orlo del burrone: sorprese del fuoristrada, quando meno te l'aspetti…tutto cambia!
Ritroviamo il "Tunnel" iniziale, siamo vicini a "La Collina", dove vorrei pranzare; ma quasi su asfalto facciamo il pelo a una famigliola di escursionisti, purtroppo ci siamo incontrati in uno dei punti più stretti, in realtà eravamo dentro a i margini di sicurezza, noi e loro, ma per evitare polemiche non ci fermiamo al passo.
Ancora sentieri e carrarecce ci portano fino al borgo di Sprea, vedo ovunque possibili diramazioni da esplorare, ma ci servirebbe una giornata da 48 ore!


AFFAMATI  DI …

Da Sprea andiamo verso San Bortolo delle Montagne (probabilmente ci sono più lettere nel nome del paese che abitanti al suo interno!), fermandoci ad ogni mangiatoia a chiedere se hanno posto. La prima è il "Finco", talmente laida all'esterno che mando dentro Andrea a chiedere ma è tutto pieno. Stessa storia a San Bortolo, cazzarola ma la gente pensa solo a mangiare! Poi c'è da dire che i villeggianti qui sono over 70 e il nostro look duro, sporco e cattivo impressiona gli animi più sensibili.
Andrea mi segnale che appena fuori il paese abbiamo saltato via un ristorante: andiamo a vedere. Entriamo a chiedere informazioni ad una graziosa biondina dalla vita bassa, tetta a boccia, ali tatuate che si innalzano dal culo: Andrea aziona il suo occhio a periscopio e non gli sfugge il perizoma trasparente della giovine. Decidiamo seduta stante di rimanere nel locale, ma la vecchia bisnonna che comanda tutto capisce subito con chi ha a che fare e ci farà servire sempre e solamente da un manico di scopa!
A tavola Andrea, da vero gentleman, si denuda e rimane per tutto il pranzo completamente a torso nudo, fra lo sconcerto di alcune delle vegliarde presenti in sala e le vampate delle altre.
Le lasagne la ragù chiamano del buon rosso, perché non anche degli affettati per star leggeri? Finisce che fra l'ultima patatina fritta e il caffè rimaniamo a tavola un'ora e mezza, con altri 100 e passa km da fare. Ma si sta bene a tavola: si chiacchiera e si scherza di moto, di enduro finalmente: forse che i miei colleghi di ufficio capirebbero tutto questo? Loro che non parlano altro di vacanze nel Mar Rosso, palestra, ipermercati? Come disse qualcuno "Enduro: la metà delle gente nemmeno immagina dove ci si va a cacciare, l'altra metà non ci crede!"

NELLE TERRE DEI CIMBRI

Paghiamo la vegliarda che, sebbene parecchio stordita nel prendere le ordinazioni, al momento di riscuotere la pecunia torna sorprendentemente vigile (non a caso Paperon de Paperoni si curava i malanni con impacchi di dobloni!). Fra l'ammirazione del popolo presente completiamo la vestizione delle nostre armature e ripartiamo verso Campofontana, dove giungiamo attraverso un mix di sentieri degli orchi, stradine asfaltate e carrarecce fra i pascoli. Un anello sterrato percorrerebbe la conca in cui è adagiato il paese, ma l'affollamento impressionate di turisti in cerca di refrigerio, ci induce a tralasciare.
Una stradina bianca, nascosta alla massa dei pic-nichisti, rapidamente ci fa scendere verso Giazza, passando in minuscole contrade aggrappate tenacemente al monte: scorci così belli che non saprei descriverli.
Giazza è l'ultimo abitato della valle, un grumo di case strette strette, dove la la val d'Illasi prende forma dall'unione della val di Frasselle  con la val di Revolto; quest'ultima, sempre più stretta ed alpina, si inoltra all'interno del Massiccio del Carega, verso i rifugi del passo Pertica e Scalorbi: ovviamente non sono zone permesse al transito, interdetto a partire dal Rifugio Alpino Rivolto.
Giazza è famosa per essere uno degli ultimi luoghi dove sopravvive la lingua e cultura cimbra; altre isole cimbre sono nell'Altopiano dei 7 comuni e a Luserna. Una leggenda vorrebbe i Cimbri discendere dalle tribù sconfitte dal console romano Mario e rifugiatesi in queste montagne; in realtà sono popolazioni di origine germanica, particolare minatori e boscaioli, chiamate nel medioevo dai feudatari locali per colonizzare le terre montane spopolate. tutta la montagna veneta sarebbe cimbra, ma a Giazza  ne hanno fatto una bandiera: ci sono scritte bilingui dappertutto, italiano e questo dialetto tedesco; io non ho mai sentito parlare cimbro e penso che nessuno lo sappia più parlare, è un passato ormai morto ma almeno valorizzando queste reliquia del passato si può ravvivare l'interesse e il turismo di queste aree marginali, e non è poco: lunga vita ai Cimbri!
Dalla piazza di Giazza mi proponevo di risalire lo spallone orientale della Lessinia lungo il sentiero E5 che conduce ai Parpari, già percorso lo scorso anno assieme a Walter. Ma all'attacco della mulattiera vediamo un teoria di persone discenderla: sembrano più in passeggiatina digestiva che escursionisti, il che lascia supporre che oltre il paese il sentiero sia ragionevolmente deserto; ma lo stesso non me la sono sentita di imboccarlo, anche se mancano segnali espliciti di divieto.
Mentre confabulo con Andrea sul dafarsi, ci affianca un cimbro (l'ho capito perché aveva una maglietta con su scritto "Pizzeria Cimbra", elementare Watson!) che     
si qualifica come trialista: non ci dice nulla sull'E5, io gli domando di una traccia alternativa, che con giro più ampio risale il pendio; ci dice che col trial la fa in su ma con le nostre moto è quasi impossibile; noi, testardi, ci proviamo lo stesso.
La mulattiera abbandona il fondovalle, si trasforma in stretto sentiero ma comunque facilmente transitabile, fino a sbucare di nuovo su una carrareccia: come galletti amburghesi ridiamo del trialista "ma quello sa cos'è il trial! questa per noi è una autostrada!". Arriviamo fino ad una contrada, spersa fra i prati; il sentiero passa giusto davanti, fra la tavola imbandita e l'uscio delle case; chiediamo alle donne se il sentiero prosegue ma sono villeggianti e non ne hanno idea; ci lasciano passare e per rispetto a loro e a un pupo che dorme spingiamo le moto a motore spento fin oltre le case: perfetti gentlemen driver!!
La via si restringe, ad un bivio una deviazione del sentiero porta verso valle, noi seguiamo la via alta ma poche decine di metri dopo un punto micidiale ci blocca: curve strettissime avvitate su se stesse, dove la moto nemmeno ci sta, ripidissime, pure con scalini in legno, sudo vino nel tentativo di forzare il passaggio per far posto ad Andrea, ci riesco; il mio amico mette la moto in cavalletto e mentre mi sostiene la mia, vado in esplorazione a piedi. Verdetto: assolutamente impossibile salire con l'enduro, il trialista si è vendicato della nostra boria, giriamo i ferri verso valle.
Tentiamo ancora qualche traccia per risalire ma la ricerca è vana.

TRIALERA

Discendiamo fino al fondovalle. In una amena valle laterale, sovrastata da canyons rocciosi è segnato un sentiero e andiamo a cercarlo.
Lo cerchiamo, lo troviamo, lo imbocchiamo. Risale il declivio con lunghe rampe dalle pendenza costante, non troppo ripide; ma è il fondo che tradisce: un unico tappeto di pietre, mediamente piccole, ma ovunque, senza soluzione di continuità, non ti lasciano in pace, devi proprio guidarci sopra! In me si verifica il temibile "Coccolone da Pranzo", quando appesantito dal cibo e dall'alcool guido con la grinta di un sacco di patate rancide, l'energia scema, vengono meno le normali facoltà mentali  e dunque mi pianto su ogni ostacolo alto pochi millimetri. Per fortuna ho ancora residue energia per lasciare correre la moto leggiadra sulle pietre, il trattore XR fa tutto lui e mi porta su. Andrea, più in forma, è passato in testa; comunque è un sentiero eccezionale, veramente bello e probante. Tornati e chicane allietano la salita, per fortuna siamo completamente all'ombra del bosco, altrimenti mi si scioglierebbero del tutto le cervella!
Raggiungiamo la base delle pareti rocciose, nei pressi di grandi covoli. c'è qualche panchina con giovani coppie di cui interrompiamo il pomiciamento, ci guardano più sorpresi che incazzati; oltre il sentiero è una vera passeggiata, con tanto di staccionata in legno, AHI, qui ci cacciamo nei guai.
Andiamo al passo, una signora con famiglia ci ferma, non per sgridarci, ma per avvertirci che oltre la semicurva c'è una scalinata: infatti!! 12 pali di legno sistemati a mo' di scala conducono alla soprastante strada asfaltata. Bisogna salire: Andrea, concentratissimo, parte deciso, impenna la moto sotto al primo tronco, butta su il posteriore e sale la rampa con la grazia di un trialista: tosto il ragazzo!
Tocca a me, sotto lo sguardo della famigliola; sono sicuro di piantarmi, portare su la moto di peso limando i tronchi, tra la riprovazione dei presenti, invece, magicamente, salto sui tronchi e arrivo in cima!
Ma per arrivare all'asfalto c'è ancora una barriera a serpentina da passare, troppo stretta per la moto; molto difficile farle passare sotto, impossibile sopra. Che si fa? Ideona: mentre tengo ben frenata la moto, Andrea mi solleva l'anteriore fino a mettere in verticale la moto sulla ruota posteriore, poi, lentamente, su una sola ruota, le facciamo superare la serpentina: avete mai visto uno tenere, per il manubrio, una moto verticale come fosse una bicicletta? I turisti presenti sicuramente no, sono allibiti dalla nostra audacia (o pazzia), nessuno ci rimprovera, anzi, ci chiedono da dove veniamo e ci salutano quando ripartiamo: li abbiamo conquistati!!

LESSINIA

E finalmente, alle 15.30, fu Lessinia. Cerchiamo di raggiungere Velo Veronese in off-road, ma i pascoli sono chiusi dai recinti del bestiame ( e mi becco pure una scarica elettrica, cazzarola!). Siamo a corto di benza ma in Centro a Velo c'è il distributore, una sola pompa, piazzata davanti all'uscio di un panificio-pasticceria che fa da benzinaio.
Ci stravacchiamo sul bar in piazza attendendo l'apertura del pasticcere-benzinaio; Andrea, con la sua vista a raggi X, ecoscandaglia il tanga della cameriera e si premura di farmi notare tale ben di Dio, ma sono distratto, l'abbiocco pomeridiano non perdona.
Benzinati i cicli a motore, proseguiamo verso Rovere Veronese su panoramici sterrati attraverso le praterie lessiniche, poi per non perdere tempo proseguiamo su asfalto verso un famigerato Vajo.
Il vajo è un lunghissimo canyon, alte pareti rocciose ai lati, il fondo, per l'umidità, è rivestito di vegetazione lussureggiante, sembra di essere lontani mille miglia dalla civiltà, è un luogo incredibile; una veloce pista in leggera salita lo risale tutto, il fondo è prevalentemente sassoso, un misto veloce dove guidare di forza e curvare di potenza ma io sono in apnea, il pasto mi ha bloccato lo stomaco, un colpo d'aria forse, i dolori mi consigliano di guidare alla "turistica".
Bypassiamo un tratto non percorribile del vaio attraverso un stretto sentiero che corre sospeso sul pendio, immerso in una splendida faggeta. Presso una malga abbandoniamo il fondo del Vajo; 2 cancelli chiudono la sterrata, messi alle opposte estremità di un ampio tornante: il primo solo appoggiato, il secondo chiuso con un lucchetto; non mi sembra il caso andare a chiedere la chiave ai malgari, meglio trovare un'altra soluzione.
A fianco della cancellata superiore c'è un piccolo cancelletto in legno su un ripido sentiero che parte dal cancello sottostante: Andrea è dubbioso perché in mezzo ci sono le vacche, perlustriamo i dintorni ma per me è l'unica soluzione è quella. Lasciamo aperto il cancelletto in legno, avanziamo lentamente per disperdere le vacche, ci lanciamo su; la parte finale è ripida, ma di slancio raggiungiamo lo sterrato: siamo oltre l'ostacolo!
Questa piacevole sterrata fra i boschi, molto affollata di turisti, ci porta sulla rotabile asfaltata tra Boscochiesanuova e San Giorgio.
Sono le 17.30, pensate che avevo in programma di scendere verso la Valpantena, attraversare la Valpolicella e salire al passo Fittanze lungo la traccia dell'XR meeting: assurdo, saremmo dovuto partire alle 5.00 e non fermarsi mai per realizzare un tale programma!
Prendiamo la direzione del Rifugio Podestaria: la strada si snoda attraverso il paesaggio carsico dell'Alta Lessinia, valloni e doline dove l'acqua scompare nel sottosuolo, "Citta di Roccia" modellate dagli elementi, monti simili a cupoloni ricoperti d'erba gialla.
L'asfalto lascia il posto ad un ampio sterrato dal fondo duro, con un po’ di ghiaino sopra: c'è traffico di ogni genere, pedoni, cavalli, bici, auto, scooter, moto, andiamo piano, ma non importa, qui quello che conta è ammirare il panorama, il Carega si staglia nitido sullo sfondo, con le sue cime e valloni, bisogna impossessarsi più che si può di queste immagini, imprimersele nel cuore. Siamo a circa 1700 m.s.l., la pista di Motocross “I Girasoli” di Montecchio era sui 100 m.s.l., 1600 metri di dislivello dalla partenza, mica niente!



FITTANZE

La sgroppata lessinese si conclude al passo Fittanze, ormai luogo consacrato al mito XR, epilogo del 2° XR Meeting; scendiamo verso Ala, per la rotabile asfaltata.
Ebbene: io sono un motociclista molto off-road e poco on, girare su asfalto mi piace ma non mi tocca il cuore come il fuoristrada; ma ci sono certe strade che un motociclista, sia che abbia la Vespa, il CR o il Guzzi California non può non apprezzare: la discesa dal Fittanze al fondovalle è una di queste.
Superata la località di Sega di Ala, impestata di turisti all'inverosimile, la strada precipita verso il basso, con rampe al 20% di pendenza, tornati, gallerie, curve a profusione ma soprattutto scorci di devastante bellezza sulle ripidissime pareti che precipitano verso valle dal crinale settentrionale della Lessinia. Osservo questo spettacolo imponente e penso ai vari sentieri che scendono queste forre selvagge, il "Sentiero dell'Osteria della Vecchietta", quello di malga Barognolo, della "Madonnina" e "Corno Alto", sentieri abbandonati da anni, oggetto fra i miei amici, di discussioni e tentativi per trovare un collegamento off-road tra l'Altopiano e la val d'Adige, ambizione, che probabilmente resterà tale, frustrata dalla asprezza dei luoghi.

LE TERMOPILI D'ITALIA : IL PASSO BUOLE 

Il caldo del fondovalle mi scioglie finalmente il blocco intestinale, mi tornano le energie, sono pronto per affrontare l'ascesa al Buole, la terza nella mia carriera enduristica.
Il passo Buole fu uno dei punti dove, nel 1916, si infranse la "Strafe-Expedition" austriaca contro l'Italia: con retorica tipicamente nazionalista gli si dette l'appellativo di "Termopili d'Italia" come il famoso episodio delle guerre greco-persiane: ma non siamo qui per una lezione di storia, bensì per parlare di moto.
Al Buole sono legate mie avventure memorabili, ma anche queste sono altre storie.
Torniamo a noi: sono ormai le 18.30 quando siamo ad Ala. Nel mio delirio di onnipotenza enduristica avevo programmato di risalire la valle di Ronchi fino all'omonimo paese, ridiscenderla, salire al Passo per la strada della Val di Gatto, calare di nuovo in Val d'Adige per l'altra rotabile sterrata e risalire al Buole una seconda volta via sentiero indicatomi da Walter; quindi, precipitarsi in Vallarsa per l'ardito sentiero che scende il costone del monte: follia pura, lo riconosco, un giro così richiederebbe un intero pomeriggio da solo!! 
Il primo pezzo della salita è asfaltato, si guadagna quota velocemente lungo stretti tornanti immersi nell'ombroso bosco, il bitume è ricoperto da un ghiaino traditrice; dove il bosco lascia posto a panoramiche radure sorge il borgo abbandonato di Pozzo Alto, veramente affascinante; alcune persone pic-niccheggiano sui prati, godendosi l'assoluta pace, circondati da un panorama superbo: questi si che si godono la vita, altro che i forzati del mare!
Dove inizia lo sterrato c'è, posato a terra, un segnale di divieto di transito per strada dissestata: noi tiriamo dritto. Effettivamente il fondo è molto rovinato dal ruscellamento dell'acqua, profondi solchi raggrinziscono la strada, pietre e scaglie di tante misure affiorano un po’ dovunque; saliamo veloci ma senza esagerare, la stanchezza si fa sentire. Tornanti a picco sulla val di Ronchi ci portano sempre più in alto, regalandoci incredibili scorci sulla valle sottostante e sulla corona di monti che la cinge, chiusa all'orizzonte la sella pietrosa del Passo Pertica: dall'altro lato c'è Giazza, 4 ore prima eravamo di là anche noi. Scattiamo qualche foto, ma qui sarebbe da finire rullini su rullini.
Finiti i tornanti la via corre alta sul crinale, regalandoci le ultime vedute sulla ormai lontana Lessinia, finché non si infila sotto i pendii di Cima Levante e Cima Mezzana: sotto di noi l'impluvio della valle di San Valentino scende ripidissimo verso l'Adige, sopra pareti quasi verticali.
La strada militare è per lunghi tratti letteralmente scavata nella roccia, segue pietra dopo pietra il profilo del monte, e noi con lei.
l'orologio batte le 19.00 quando arriviamo al Passo; ci sono ancora gli ultimi turisti, poche persone, una minuscola baita-rifugio, un modesto cippo e un sacello ai caduti, resti di trincee, prati: niente a che vedere con il caos di altri famosi passi montani facilmente raggiungibili, infestati di auto, corriere, moto, bancarelle, ristoranti! Qui tutto è ancora semplice, naif, forse un po’ abbandonato ma bello: peccato non avere tempo per rimanere qui a contemplare la natura.
Imbocchiamo lo stretto sentiero per la Vallarsa, si scende il pendio ripidissimo con innumerevoli tornati, la traccia in alcuni punti è molto stretta, 30-40 cm, e "invitante" verso il basso, bisogna stare attenti a non scivolare di sotto!
I tornanti sono molto stretti, inoltre a volte hanno gradini di roccia, spesso metto la moto al fianco per superarli, Andrea, più in forze, li fa quasi sempre in sella. Siamo sempre immersi nella foresta, ogni tanto però il bosco si apre e possiamo ammirare di fronte a noi tutto il Sengio Alto, il Pasubio, l'alta Vallarsa e l'alpe di Campogrosso.
Il tratto terminale è il più impegnativo, la pendenza diventa notevole e il fondo è di sasso e ghiaino smosso, la moto a freni tirati scivola veloce a valle, bisogna stare attenti a non ribaltarsi: risalire questo punto con delle enduro penso sia impossibile.
Intercettiamo una strada boschiva e abbandoniamo il sentiero, per raggiungere velocemente l'asfalto.
Sono le 19.30, sono a 40 km da casa e alle 20.00 la morosa smonta dal turno e siamo d'accordo per partire per il week-end in montagna: con la cabina telefonica da tasca (altresì chiamata "mattonella"o "Cellulone") la avverto del ritardo e, rassegnata, mi dice solo ti aspetto.
Finisce qui la giornata off-road: gli ultimi 40 km fino a Schio sono tutti su asfalto, sulle impegnative curve e tornanti della SS 46, attraverso la Vallarsa, il passo Pian delle Fugazze, e la Valleogra.
Alle 20.15 sono a casa, il periplo del Carega in off- road è compiuto, in oltre 270 km e 12 ore: il culo mi brucia dalla fatica ma sono veramente contento, non vedo l'ora di rifarlo!!

Ciao
Alves



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